Il balcone della vanità Teatro - 2013
Locandina
Una produzione Compagnia Teatro dell'Argine
Le note
Così Etienne De la Boétie, filoso e giurista francese del Cinquecento, descriveva quella “particolare tendenza dell’uomo” alla Servitù volontaria, che sembra essere, secondo l’autore, prerogativa umana in tutte le epoche storiche. Letta con lo sguardo del Novecento di totalitaria memoria questa prospettiva sembra essere profetica oltre che veritiera. Cosa spinge un’intera popolazione ad assoggettarsi ad una capo? Come può un solo uomo controllare milioni di uomini? Dagli stessi interrogativi prende le mosse la riflessione di un altro grande studioso del Novecento, Elias Canetti, che fa dello studio sulla formazione delle masse – politiche e sociali – il trait d’union dell’intera sua opera poetica. Lo spettacolo Il balcone della vanità nasce per l’appunto a margine della riflessione lucida che l’autore bulgaro compie intorno alla nascita del potere, nelle sue dinamiche individuali e sociali, in particolar modo in una delle sue poche opere teatrali: La commedia della vanità. Da questo scritto sorge il pre-testo narrativo – incipit de Il balcone della vanità – di un divieto ristrettissimo che impone, ad una non specificata cittadina, di privarsi dei propri specchi e di qualsiasi tipologia d’immagine di sé e del mondo; di conseguenza oltre agli specchi, anche i ritratti e le fotografie sono banditi in tutta la città. Ad essere perseguitata è la vanità – termine quanto mai ridondante nel nostro presente – considerata il male peggiore di tutta la società.
Il mondo chiuso e autoreferenziale di questa cittadina – inevitabilmente raffrontabile a quello di Fahrenheit 451 di Bradbury o al 1984 di Orwell o ancora al grottesco mondo di Delicatessen di Jeunet – vede come protagonisti personaggi grotteschi e sopra le righe in preda ad una smania compulsiva finalizzata all’attuazione di un decreto di cui non ci è dato sapere né il motivo né il reale ideatore. Tutti i personaggi diventano così, più o meno consapevolmente (come succede a tutti noi?), meri esecutori di un potere costituito; a presentare questa folle mascherata un portiere luciferino che, come nelle migliori tradizioni letterarie, osserva non visto tutto ciò che accade, riempiendo con attenzione la sua preziosa agenda. Intorno a lui dieci personaggi, giocati da sei attori, rappresentanti un classico modello sociale – dal maestro alla bambina, dal direttore al predicatore, dalla puttana all’operaio – e raffiguranti i vizi e le virtù (poche) delle categorie d’appartenenza. Si dimenano, urlano, litigano, gioiscono per un editto da rispettare, da osservare con ligia devozione; alcuni si ergono a controllori della città, altri subiscono passivamente gli eventi, qualcuno, invece, rimane in disparte ad osservare i mutamenti di questa strana cittadina carpendone le debolezze e i desideri nati, pian piano, dalla mancanza della propria immagine. La festività e la grottesca allegria che accompagna la liberazione e la distruzione di tutte le immagini del proprio passato e della propria vita si trasforma, infatti, in una mancanza sempre più incolmabile non rispondente alla combattuta vanità, bensì all’inappagata identità. Da questa parola passa quella “strana tendenza”, di cui parlava Etienne De la Boétie, che per mostrarsi si serve di uno specchio, ripudiato e distrutto prima, agognato e desiderato dopo. Forse anche troppo.
Ne Il balcone della vanità si assiste così al gioco continuo e perpetuo del potere; un potere che passa dal divieto e dalla proibizione dittatoriale – forte del braccio armato della legge – a un potere, politicamente vicino alla nostra realtà, che si palesa invece attraverso il falso sorriso, le ricercate parole, il linguaggio persuasivo che fa leva sulla debolezza identitaria e intellettuale degli uomini. Questi sono i veri protagonisti della commedia. Sono Loro che permettono ai potenti di diventare tali; sono Loro che si gettano pigramente sul comodo letto dell’obbedienza; sono Loro che, accecati dalla propria individualità, continuano a non curarsi del mondo che li circonda; sono Loro, ergo, siamo Noi.